15 Dicembre 2011
 
 
.::Le donne del 6° piano::.
 
 

Titolo originale: Les femmes du 6ème étage
Regia: Philippe Le Guay
Sceneggiatura: Philippe Le Guay, Jérome Tonnere
Fotografia: Jean Claude Larrieu
Montaggio: Monica Coleman
Musica: George Arriagada
Scenografia: Pierre-Francois Limbosch
Costumi: Christian Gasc
Interpreti: Fabrice Luchini (Jean-Louis Joubert), Sandrine Kiberlain (Suzanne Joubert), Natalia Verbeke (Maria Gonzales), Carmen Maura (Conception Ramirez)
Produzione: Etienne Comar, Philippe Rousselet ecc
Distribuzione: Archibald
Durata: 104'
Origine: Francia, 2010.

 

 Già nel nostro cartellone del 2005/06 ospitammo un film di Philippe Le Guay dal titolo "Il costo della vita", una tipica 'pochade' francese con un Fabrice Luchini in gran forma, sei anni dopo recuperiamo il binomio Le Guay/Luchini con il loro ultimo "Le donne del sesto piano", fenomeno d'incassi in Francia nella passata stagione cinematografica. Una commedia raffinata e popolare, allegra, di buoni sentimenti, ma senza retorica. Un risultato piuttosto raro, visti i tempi; che in Italia non ha avuto lo stesso successo, un po’ perché molto francese, un po’ perché non abbastanza volgare da meritare una distribuzione industriale. E poi c'è il tema, l'immigrazione. Un fenomeno troppo recente da noi per tradurlo in commedia. La maturità di questo film è la sua leggerezza (come già il precedente citato). L'astuzia è nel parlare non dell'immigrazione di oggi, con il suo carico pesante di dolore e lacerazioni sociali, ma di quella degli anni '60. La storia è ambientata nei quartieri borghesi della Parigi di de Gaulle, prima del fatidico '68. Una società dove ciascuno doveva stare al suo posto. Ai piani nobili del bel palazzo vive la famiglia dei signori Joubert, nel gelido rispetto delle convenzioni. Il signore, Jean-Louis (ancora un Luchini impagabile) è un serissimo agente di borsa, con un'unica ossessione nella vita: la cottura perfetta dell'uovo alla coque. Suzanne (Sandrine Kiberlain), la moglie che rientra ogni sera estenuata da una giornata di stupide frivolezza. Più due pargoli viziati, odiosi e già benpensanti. Nella soffitta invece s'agita il mondo povero, rumoroso e caldo delle donne di servizio spagnole immigrate. Quando i signori Joubert decidono di fare a meno dell'anziana domestica impicciona, si rivolgono alla comunità spagnola e assumono Maria. L'ingresso della giovane e dolce cameriera scardina le certezze di carta dei coniugi, Jean -Louis scopre ossessioni ben più affascinanti delle uova e, inseguendo Maria, entra in contatto con l'universo del 'sesto piano', i balli, i canti, le preghiere e la paella, la sofferenza e la lieta fierezza della piccola comunità, sconosciuta eppure protettiva. Conosce la saggia Conception (l'almodovariana Carmen Maura), la comunista Carmen, l'infelice Teresa, la pia e la bella, Pilar e Dolores. Per la prima volta si sente a casa, in famiglia, euforizzato dala gioia di vivere e dalla possibilità di divertirsi. Scopre la gioia di rendersi utile, dando un senso al proprio potere, il denaro. Alla fine un'esperienza dalla quale jean-Louis e neppure la moglie Suzanne riusciranno a tornare indietro. La tradizione del rapporto fra padroni e domestici ha prodotto capolavori di profondità psicologica nel cinema di Altman, Losey o Chabrol. Non è questa la pretesa del film di Le Guay, un'opera modesta, nel senso nobile del termine, la storia si muove con il passo lieve dell'ottimismo, fra ironia e utopia. Un po’ come nel bellissimo ultimo film di Aki Kaurismaki (i nostri affezionati storici ricorderanno questo nome nei nostri cartelloni), "Le Havre", ambientato fra gli immigrati africani di oggi. Senza lo stesso splendore cinematografico, ma con altrettanta passione umana e tenerezza. Il regista confeziona una commedia umile e divertente, nostalgica (gli anno'60 hanno sempre il loro fascino) ma attuale. Con qualche omaggio, en passant, agli universi sentimentali del grande Pedro Almodovar, non soltanto nella scelta delle attrici di un'icona del cinema spagnolo come la sempre straordinaria Carmen Maura. Un discorso a parte merita Fabrice Luchini che negli ultimi film interpretati si è specializzato nelle parti di alto borghese in crisi. Ogni gesto, ogni frase detta o non detta, ogni sguardo esitante o meravigliato, perfino ogni suo passo è da antologia dell'arte di recitare. Il suo Jean-Louis è un ritratto esemplare, oltre che un inno all'ottimismo: la vita può ricominciare anche a sessant'anni.