"La ragazza del lago" opera prima del
regista Andrea Molaioli, fu una delle piacevoli sorprese della Mostra di
Venezia 2007, alla calda accoglienza critica seguì un successo di
pubblico, anche superiore alle previsioni. L'opera seconda dell'autore
romano, "Il Gioiellino", narra le vicende di una grande azienda
agro-alimentare, ramificata in vari continenti, quotata in Borsa, in
continua e rapida espansione. Il suo fondatore, Amanzio Rastelli, padre
padrone dell'azienda si è attorniato di un team composto dai suoi
parenti più stretti, che si rivelano presto un management inadeguato ad
affrontare le sfide del mercato globale. Così il gruppo comincia ad
indebitarsi ma sotto la regia di Ernesto Botta, un direttore generale
privo di qualsiasi scrupolo, prende piede la prassi di falsificare i
bilanci dell'attività, a gonfiare le vendite, ad accollare ad ignari
risparmiatori, con la complicità di banche compiacenti, i rischi di una
finanza creativa sempre più ardita e destinata a provocare un disastro
di proporzioni incredibili. Quella che nella realtà era la Parmalat,
protagonista del crac finanziario più spaventoso del dopoguerra
(quattordici miliardi di euro di buco, centomila risparmiatori
coinvolti, dieci anni a Tanzi per aggiotaggio e diciotto per bancarotta
fraudolenta), nel film di Molaioli si chiama L.E.D.A, un acronimo che
sta per latte e derivati alimentari anche se verrebbe da pensare a latte
e dissesti azionari. Siamo nell'ambito della catastrofe quindi, di
un'azienda privata ma anche di un sistema nel suo complesso (politica,
banche e giornali) e soprattutto della finanza, quella virtuale sulla
quale il piccolo risparmiatore non ha controllo, e in generale di
un'economia capitalistica spesso priva di regole, che si esprime nel
"liberismo selvaggio" di cui tanto si è discusso. Sono queste le
contraddizioni che Molaioli intende indagare a partire dal fallimento di
un'azienda a conduzione familiare, situata in provincia (Parma che
diventa Acqui Terme), un "gioiellino" all'apparenza, che produce latte,
alimento-simbolo della purezza e del candore infantile. Un'azienda che
sembra saldissima, su cui tutti fanno affidamento e su cui appunto
investono (siamo negli anni '90 a inizio film, il crac è del 2003), che
ha l'avallo del potere politico (dal senatore democristiano al
presidente del consiglio che racconta barzellette), di quello
finanziario (le banche) e di quello religioso (fondamentale la scena in
cui Rastelli-Tanzi parla a un pubblico composito dei valori che
l'azienda porta con se, e del fatto che ha sempre anteposto l'etica al
profitto), oltre a possedere un giornale e una squadra di calcio
importante (insieme alla banca gli elementi del successo, secondo il
senatore suddetto che somiglia tanto a Ciriaco De Mita). Il regista
ritrova qui Toni Servillo nelle vesti del faccendiere privo di scrupoli
(Ernesto Botta), era stato presente nel ruolo di protagonista anche
nella "Ragazza del lago", mentre nel ruolo di Amanzio Rastelli, il
patron che ammicca a Tanzi, c'è Remo Girone. Personaggi ripresi nel loro
squallore, Botta/Servillo nella solitudine della sua casa buia, Rastelli/Girone
nell'ipocrisia della sua fede. All'interno di un film freddo, lucido,
claustrofobico, geometrico come le architetture spesso inquadrate,
circolare nella struttura e sobrio nel ritmo, che si avvale di ampi
movimenti di macchina e di primi piani stretti, che stanno sui
personaggi e li analizzano lasciando eventualmente a noi il compito di
giudicarli, oltre che di una sceneggiatura solida e di un'équipe
collaudata. Teardo per la musica, Bigazzi per la fotografia e Franchini
per il montaggio, per non parlare di Servillo che giganteggia da par
suo, accreditandosi per l'ennesima volta fra i migliori attori italiani
del momento. |